Ultimo appuntamento di Academy Arena sulla tematica legata alla differenza di genere.
La tematica della disparità di genere negli esports coinvolge diversi aspetti della vita sociale, sia all'interno che al di fuori degli spazi digitali, e può essere esaminata attraverso varie prospettive teoriche. Negli articoli precedenti di questa rubrica, abbiamo esplorato criticamente come gli esports, nonostante le presunte potenzialità della loro natura altamente digitalizzata, stentino a svilupparsi come una realtà inclusiva, che tenga conto non solo di soggetti "mascolini" ai quali gli sports tradizionali ci hanno abituato.
Una parte significativa di questa problematica risiede nella comprensione che la "natura digitale" degli esports traduce e al contempo tradisce molti aspetti del vivere sociale, connessi ai corpi e alla materialità in senso ampio. Aspetti che trovano poi una voce in comportamenti spesso scomodi, distruttivi e discriminatori.
Oggi esamineremo nuovamente e per l’ultima volta la questione di genere negli esports, con la consapevolezza che potremmo ritornarvi in futuro se richiesto. Amplieremo la nostra analisi, abbandonando le lenti culturali, socio-materiali o di rappresentazione, e adotteremo un approccio più ampio attraverso un impianto metodologico, a me caro, proprio delle analisi narrative. L'obiettivo principale è comprendere come le narrazioni legate alla disparità di genere negli eSports si sviluppino nel tempo e come noi, in quanto studiosi critici, possiamo tentare di decostruirle. Quello che propongo è di esaminare come e perché alcune idee, concetti e modi di fare ci appaiano "naturali" pur essendo, in realtà, socialmente costruiti.
Il contributo accademico che prenderemo in esame oggi, intitolato Gender in esports research: a literature review, redatto da Egil Trasti Rogstad e originariamente pubblicato nel 2022 sulla rivista European Journal for Sport and Society, costituisce una rilevante opera di ricerca finalizzata a evidenziare la formazione e l'evoluzione di narrazioni relative al genere nel contesto degli esports. L'importanza di un simile studio si manifesta in almeno due prospettive fondamentali: innanzitutto, permette di comprendere quali temi abbiano acquisito maggiore risonanza all'interno delle comunità scientifiche; in secondo luogo, offre una visione approfondita del ruolo svolto dalla stessa comunità scientifica nel promuovere e sostenere specifiche narrazioni. Dallo studio di 21 pubblicazioni accademiche, l'autore lascia emergere diversi temi interessanti di cui, secondo il mio modesto parere, vale la pena evidenziarne due.
Il primo, a noi già familiare, ha a che fare con il legame tra giochi professionali e costruzione della mascolinità, la quale riflette valori culturali, ideologie dominanti e pratiche corporee. Taylor (2012) indica che la mascolinità negli ambienti di gioco professionale è plasmata da due concetti chiave: la "geek masculinity" e l'"Athletic masculinity".
Mentre la prima rappresenta un'identità alternativa specifica nel contesto dei giochi elettronici (ci riferiamo a tutti quei comportamenti “mascolini” che si sono sviluppati a partire proprio dalle pratiche videoludiche), la seconda cerca di normalizzare una nuova forma di mascolinità già propria degli sports tradizionali attraverso gli esports.
Cose di cui abbiamo già avuto modo di parlare ma che vale la pena approfondire aggiungendo un tassello importante; ovvero che le giocatrici devono affrontare aspettative di alterità e gestire la costruzione della "female masculinity". Una forma di costruzione identitaria che deve tener conto delle aspettative altrui senza rinunciare però ai tratti del proprio genere a cui ci si identifica.
Il secondo riguarda la crescente commercializzazione degli esports, che vede i partecipanti alle competizioni diventare sempre più professionali e riconoscibili anche al di fuori di questi contesti. Tuttavia, la partecipazione alle competizioni è solo una piccola parte del reddito di un giocatore professionista degli esports, che si basa sulla costruzione della propria “identità” da negoziare all’esterno, costruendo quella che potremmo definire una “mercificazione” dei giocatori professionisti.
Le competizioni esportive più popolari, però, sono principalmente rivolte a un pubblico maschile, e la cultura del gioco competitivo è strettamente legata alla mascolinizzazione generale del videogioco (Zolides, 2015). Di conseguenza, il genere è un elemento chiave di questi processi di “mercificazione” dei giocatori professionisti, portando le donne che affrontano ulteriori barriere e sfide nello sviluppare e mantenere una propria influenza. Molte donne giocatrici sentono la necessità di mantenere la propria femminilità pur conservando la loro posizione come avversarie legittime per un pubblico prevalentemente maschile, mettendo in discussione la necessità di assumere tratti e comportamenti mascolini. Mentre gli uomini giocatori possono permettersi una maggiore identificazione sociale tra la loro identità di genere e quella di giocatore, le donne giocatrici sono meno propense a identificarsi con l'immagine stereotipata del giocatore mainstream (Taylor, 2012; Zolides, 2015). Questa differenza potrebbe derivare dalla minaccia di confermare uno stereotipo sfavorevole come auto-caratterizzazione in favore del riconoscimento e del successo esportivo.
Questi argomenti ci conducono a concludere che gli esports, analogamente agli sport tradizionali, sono un prodotto concepito dagli uomini per gli uomini, enfatizzando costrutti narrativi tipici dei generi videoludici più popolari, come gli sparatutto in prima persona o i simulatori sportivi. L'artificialità di tali narrazioni può essere, a mio avviso, ricercata principalmente attraverso le storie non raccontate. Per analizzare questa impostazione in modo critico, potremmo inizialmente chiederci se concetti come "la guerra", "la forza" e il “mito” siano effettivamente da considerarsi appannaggio esclusivo del genere maschile e valutare in che modo le donne abbiano contribuito alla loro costruzione. La questione è da rintracciarsi anche nella “voce” di chi narra, che in altre parole è anche potere.
Mentre da un lato vi è una lotta in corso tra uomini che tentano di instaurare il proprio concetto di mascolinità negli esports, dall’altro vengono a mancare tutta una serie di punti di vista che non sono lontani da questa lotta. La comunità scientifica gioca un ruolo cruciale nel mettere sotto osservazione critica questi fenomeni, ma un cambiamento radicale può essere ottenuto solo attraverso un incontro genuino tra tutti gli attori di questa industria. Dal lavoro di Egil Trasti Rogstad emergono una serie di “silenzi”, di cose non dette, che necessitano ancora di attenzione. Tra questi penso agli sponsors, agli organizzatori, alle piattaforme e agli spettatori che giocano un ruolo chiave nel costruire un ambiente più inclusivo. Il mio invito è quello di disimparare gli schemi e i costrutti che ci portano a chiamare “normali” strutture e comportamenti, come i binarismi di genere, in favore di prospettive più ampie sull’altro e sulle artificiosità che caratterizzano attualmente il panorama esportivo.
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