Academic Arena è il canale divulgativo che unisce il mondo accademico con quello Esport. In questa prima pubblicazione, andremo a discutere di uno degli argomenti più caldi del momento: la questione di genere negli Esport.
Academic Arena è il canale divulgativo che unisce il mondo accademico con quello Esport. In questa prima pubblicazione, andremo a discutere di uno degli argomenti più caldi del momento: la questione di genere negli Esport.
L'universo degli Esport , protagonista di numerosi dibattiti accademici negli ultimi anni, si caratterizza da sempre per la sua capacità di superare confini lavorativi e mediatici consolidati. Esso mette in discussione strutture tradizionali centenarie e si distingue per la sua "originalità" rispetto al passato.
Tuttavia, come spesso accade, le apparenze possono ingannare. Un'analisi attenta e un approccio critico rivelano che dietro la superficie di questa originalità si cela la necessità di legittimarsi, spesso ricorrendo alla ripetizione di schemi già familiari, con i conseguenti problemi (spesso spettri del passato) che ri-emergono in una prospettiva rinnovata.
I videogiochi competitivi costruiscono, dal punto di vista sociale, un mondo popolato da spettatori, atleti professionisti, organizzatori, piattaforme di streaming, investitori e accademici, come il sottoscritto. Questo mondo è capace di regalare emozioni e sogni, ma non è immune dalla formazione di nuove e costanti sfide. Una di queste sfide, che esploreremo insieme a partire da oggi e in una serie di articoli futuri in questa rubrica, è affrontare la difficoltà (certamente non originale di questo mondo) di capire, gestire e decostruire la questione di genere.
"Perché giochi? Non sei una ragazza?" è il titolo (da me tradotto) di un interessante lavoro di ricerca condotto presso la Northeastern University, capitanato da Daniel Madden con il supporto di diversi colleghi. Il lavoro è stato presentato per la prima volta alla Conference on Human Factors in Computing Systems nel 2021 e ci permette, a distanza di anni e in maniera graduale, di avviare il dibattito sulla questione di genere negli esport.
Attenzione però, gli autori sanno bene che il termine "genere" va oltre la semplice dicotomia maschio-femmina (nel tempo impareremo anche noi ad operare queste distinzioni), ma scelgono di partire proprio da questa base per esplorare il fenomeno.
Allora, porrei subito una domanda: quante competizioni miste tra maschi e femmine abbiamo visto negli esport durante gli ultimi dieci anni? Questa domanda, che oggi porgo a voi lettori e che mi sono posto spesso durante le mie ricerche, è la stessa attorno la quale si costruisce il lavoro di ricerca di Madden e compagni. Le risposte possono essere molteplici, ma cerchiamo di procedere con ordine.
Se è vero che gli sport tradizionali hanno trovato un apparente rifugio scomodando i dogmi della biologia (oggi nuovamente sotto giudizio dell'opinione pubblica), gli esport sembrano non "giustificare" una netta separazione fondata sul genere. In questo contesto, il lavoro di Madden offre una risposta diversa a queste domande, interrogando un sistema di valori e credenze culturali alla base delle società, almeno occidentali.
Procedendo per gradi, una prima possibile spiegazione risiede in quelle che mi piace definire "radici culturali" associate al mondo dei videogiochi, in particolare a quell'idea consolidata che vede la competizione come espressione di "aggressività", un valore tradizionalmente associato al genere maschile, controbilanciato dall'"emotività" del sesso femminile. Queste radici concorrono a definire la "percezione" di cosa sia il gaming e a chi debba appartenere per diritto.
Innegabile per certi versi che il gaming sia ancora percepito come un interesse prevalentemente maschile dal senso comune, anche se mancano prove scientifiche a sostegno, specialmente considerando che le abilità richieste negli esport sembrano essere ottenibili indipendentemente dal genere.
Andando avanti con gli studi, emerge ripetutamente dal lavoro di Madden che le ragazze sono percepite come più "emozionali", una caratteristica vista come distante dalla tolleranza alla violenza spesso considerata necessaria per la competizione, specialmente in giochi che simulano scenari bellici.
Non sorprende quindi la diffusa retorica che relega le ragazze a ruoli di supporto, sia emotivo che fisico, riflettendo proprio quegli statuti appartenenti alle narrazioni di guerra consolidate nel corso della storia occidentale. Questi hanno contribuito a una cultura mediatica e di educazione infantile orientata verso il gaming omo-centrico.
Questi stereotipi culturali hanno plasmato la percezione pubblica degli esport e contribuiscono alla mancanza di rappresentanza femminile in competizioni di alto livello. Tuttavia, la realtà è che le abilità necessarie per eccellere negli esport non sono legate al genere, ma piuttosto alla dedizione, alla strategia e alla precisione.
È interessante iniziare a chiedersi quali siano i canali che portano a delle difficoltà nel percepire queste abilità nelle giocatrici professioniste.
L'indagine di Madden fornisce una serie di spunti importanti da cui avviare una riflessione sull'approccio per superare queste barriere percettive e creare un ambiente più inclusivo negli esport. Tra queste troviamo:
- Amplificare la voce delle comunità di minoranza attraverso un design partecipativo, dove la maggior partecipazione ai processi di costruzione sociale genera un ambiente più inclusivo e non viceversa.
- Insistere sulla posizione dei designer nei processi organizzativi che riguardano gli eventi, così come degli sviluppatori stessi dei titoli esport. Un aspetto importante è rappresentato dalle pratiche di progettazione reiterate e problematiche nel game design, che contribuiscono a rafforzare gli stereotipi sessualizzati o iper-mascolini nel videogioco. Si pensi agli innumerevoli casi in cui la femminilità dei personaggi in gioco, le disabilità corporee, mentali e culturali divengono oggetto di una rappresentazione che non è neutrale rispetto alle percezioni che i giocatori costruiscono a partire proprio da quei modelli, che spesso non sono stati ben pensati o progettati.
E quindi, cari lettori, affrontare la questione di genere negli esport richiede una riflessione approfondita su come la cultura e le credenze radicate possano influenzare le opportunità e la rappresentanza nel mondo competitivo dei videogiochi. Tutti siamo chiamati a esplorare ulteriormente queste dinamiche per contribuire a una comprensione più approfondita e favorire il cambiamento positivo nel panorama degli esport. Attendiamoci, nei prossimi articoli, di continuare su questa linea di pensiero.
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