Dopo i primi due appuntamenti, continuiamo il nostro percorso sulla differenza di genere legata al mondo dell'esport
Nelle recenti pubblicazioni di questa rubrica, abbiamo esplorato il complesso mondo degli esports e il loro rapporto con la questione di genere. Dopo aver focalizzato l'attenzione su elementi come la cultura e spazi digitali, oggi approfondiremo il tema della rappresentazione in un contesto che, nonostante la crescente popolarità, continua a sollevare preoccupazioni riguardo all'accesso e all'inclusione delle minoranze.
Pur rimanendo saldo il nostro primissimo assunto, ovvero che il genere non è riducibile a un binarismo come maschio/femmina, la rappresentazione si presenta come una questione che può aiutarci a comprendere ulteriori sfaccettature sul genere e su come le disparità, l'emarginazione, le pratiche discriminatorie o l'esclusione in senso stretto, siano comportamenti sociali che possono essere decostruiti solo comprendendone l'origine.
È innegabile che gli esports abbiano ereditato assetti e meccanismi relazionali dagli sports tradizionali, generando una difficoltà nel capire se le origini di queste criticità siano da rintracciare in questa "eredità" o negli elementi "unici" di questo tipo di pratiche. Importante, però, è capire che la questione è ben diversa a seconda dei casi; nel primo ci sarebbe da decostruire i processi e le motivazioni che hanno portato a ereditare, tradurre e poi riproporre pratiche di discriminazione ed esclusione proprie degli sport tradizionali; nel secondo caso invece si dovrebbero comprendere quali sono realmente questi elementi "originali" che rendono gli esports una pratica diversa dagli sports tradizionali, per poi ridiscuterne le conseguenti criticità senza l'ausilio di paragoni.
Il lavoro di ricerca che ci accompagnerà oggi è stato curato da Lindsey Darvin e colleghi nel 2021, pubblicato per la prima volta sulla rivista Sport Management Review. Non è un caso che l'interesse di questa ricerca fosse proprio quello di esplorare "i perché" e le conseguenze di una sottorappresentazione delle donne negli esports, tenendo in forte considerazione il recente interesse degli sports manager provenienti dagli sports tradizionali, che, come suggeriscono gli autori, resta ancora oggi un ambiente fortemente mascolinizzato. Uno degli aspetti cruciali che emergono da questa ricerca è la sottorappresentazione delle donne negli esports rispetto ai colleghi uomini.
Metafora forte è quella del "soffitto di vetro" dove chi è posto ai livelli inferiori della struttura è capace di osservare chi si trova sopra, in posizioni apicali, pur non riuscendo a raggiungere quelle posizioni come conseguenza della durezza del vetro. Vetro composto da sottili strati di barriere, spesso impercettibili, che messe insieme danno forma soffitti solidi e impenetrabili. Darvin propone una rilettura di questa metafora attraverso lo spostamento del "soffitto di vetro", inquadrandolo nel contesto esportivo sotto il termine di "monitor di vetro", che diviene un termine ombrello sotto il quale raccogliere tutte le barriere e le sfide che le donne devono affrontare per raggiungere posizioni che permettano poi una rappresentazione del genere femminile nell'industria.
Barriere che manifestano la propria esistenza attraverso una semplice analisi statistica. Considerando che il 57% delle donne partecipa agli esports, solo il 9% si definisce "gamer", e appena il 5% occupa ruoli professionali nell'industria (Hilbert, 2019), si può da subito percepire una difficoltà nel rappresentare (esternamente e internamente) le possibilità per le donne in questo settore. Questa mancanza di rappresentazione influisce direttamente sull'accesso e sulla percezione delle donne, dando vita a un circolo vizioso che ostacola la crescita e l'equità di genere come "attore attivo" piuttosto che come conseguenza.
Solo studi più recenti hanno iniziato a esplorare l'ostilità negli ambienti competitivi esportivi e i comportamenti discriminatori che permeano la cultura lavorativa anche di settori paralleli come quello delle case di sviluppo di titoli videoludici. Si ricordi, a titolo d'esempio, il caso di Riot Games che nel 2019 si vide costretto a far fronte all'abbandono di oltre 100 dipendenti per proteste contro le molestie sessuali interne all'azienda (England, 2019).
In una delle recenti ricerche che abbiamo analizzato si faceva riferimento al fatto che le pratiche discriminatorie verso il genere femminile negli esports non fossero supportate da una diversità legata alla conoscenza e all'abilità fisica che ha caratterizzato molte narrazioni degli sports tradizionali.
Nella ricerca di Darvin questo tema ritorna, mettendo in luce che il cambiamento paradigmatico è da rintracciare nello spostamento di questi elementi comparativi verso l'utilizzo delle macchine, come la maestria nel gioco (che in questo caso diviene videogioco), nella scienza informatica e nell'utilizzo delle tecnologie, portando inesorabilmente alle stesse conclusioni. A cambiare dunque è la forma del contenuto, ma restano invariate le retoriche di base che mirano a salvaguardare alcune strutture patriarcali. Tutto questo è avvalorato e supportato da spazi virtuali non regolamentati come internet, sul quale ci siamo già espressi.
Nella cultura dei videogiochi, il termine "zoning" si riferisce alle tattiche dei giochi che i giocatori utilizzano per tenere gli avversari a distanza e fuori da una zona specifica, costringendo così l'avversario in uno stato di svantaggio (North, 2019). Nello studio di Darvin alcuni partecipanti hanno descritto alcuni generi videoludici come troppo tossici per le donne e le ragazze. Per esempio, donne che giocano professionalmente e che, nelle loro risposte, hanno identificato i generi MOBA e FPS come troppo tossici per il loro coinvolgimento sano.
Questo dato è particolarmente problematico se consideriamo che questi due generi sono quelli ad offrire attualmente le maggiori possibilità di professionalizzazione. Curioso è dunque il poter osservare il parallelismo tra pratiche "in gioco" e "fuori dal gioco" attuate non solo dagli atleti professionisti uomini ma anche da altri attori come gli spettatori e gli organizzatori. Una vera e propria messa in costruzione di quello che gli autori della ricerca chiamano "gender-zoning".
Ultimo tema emergente dai risultati di Darvin riguarda la necessità per le donne di possedere "mentalità" e grinta nel far fronte alle molestie da parte di altri giocatori e persino di altri professionisti nell'ambito degli esports. La determinazione e la resilienza divengono necessarie per affrontare le molestie e la mascolinità tossica, creando un parallelismo con il concetto di "tank" nei videogiochi, dove le partecipanti assorbono danni per aprire spazi a una presenza femminile più forte negli esports.
Il mio invito, dunque, resta quello di approfondire la questione di genere negli esports a partire dalle categorie strutturali e comportali che abbiamo affrontato insieme. Lo scopo è quello di arrivare a cogliere che la sottorappresentazione delle donne negli esports non è l’ennesimo sintomo di qualcosa che resta celato a molti, ma bensì essa stessa un elemento che contribuisce alla legittimazione di una partecipazione piena delle donne a questo settore, che inevitabilmente porta alla quasi impossibilità di desiderare, progettare e costruire un progetto di vita stabile senza fare rinunce in termini di aspettative e salvaguarda della propria identità e dignità.
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