Il Gamergate è il termine con cui si definisce una campagna di molestie sessiste nel mondo dei videogiochi, contro le quali Zoë Quinn è stata la prima guerriera.
Sono passati 10 anni dalle molestie che hanno reso Gamergate un capitolo di cui, tutt’ora, il mondo dei videogiochi mostra i segni di ferite difficilmente rimarginabili. Il movimento Gamergate ha lasciato un dolore indelebile a causa delle molestie e abusi, tutt'ora evidenti, nei confronti delle donne della comunità LGBTQIA+ e delle minoranze dei professionisti del settore che lottano per l’inclusione. L’industria videoludica ha il dovere di prendere una posizione decisa, antagonista dell’ignoranza, dell’odio e della disinformazione. L’attuazione di progetti volti a combattere gli atti disumani che inondano l’universo dei videogames è sempre maggiore, ma vi è ancora tanta strada da fare come dimostra il recente caso che ha coinvolto lo studio di design Sweet Baby Inc.
Il fenomeno Gamergate, la terribile campagna di molestie sessiste e anti progressiste espressa nella cultura videoludica nel 2014, ebbe inizio da un articolo di blog. Ai suoi esordi furono due gli attori principali coinvolti: la sviluppatrice Zoe Quinn e l’ex fidanzato, che pubblicò un attacco alla donna all’interno del suo blog personale, testo in cui lui accusava la ragazza di aver comprato le recensioni positive del suo lavoro Depression Quest.
Questo videogioco progettato per trasmettere il vissuto depressivo mediante l’ausilio di scenari fittizi, che la developer aveva tratto dalla sua personale esperienza. Ciò che aveva avuto esordio come una disputa personale si trasformò in qualcosa di molto negativo e disumano, un attacco contro le donne nel settore dei videogiochi e membri della comunità LGBTQ+. Divennero numerose le donne coinvolte insieme a Quinn nell'industria videoludica. Anche Brianna Wu e la critica culturale Anita Sarkeesian, furono oggetto di molestie, minacce tanto gravi da percepire il pericolo della propria vita.
Gamergate divenne il fronte moderno delle voci di misogini caratterizzata dalla disinformazione e dalla totale assenza di pensiero critico e divergente. Keza MacDonald di The Guardian, analizza questo fenomeno di guerra culturale:
"Gamergate, come questo sdegno artificiale divenne noto, si trasformò in uno dei primi fronti delle moderne guerre culturali, alimentato dai social media, dalla misoginia e dal disaffezionamento strumentalizzato dei giovani uomini".
Il potere distruttivo di questa campagna dell’odio online ha mostrato un trauma duraturo, venendo persino strumentalizzato negli Stati Uniti durante la campagna Trump, come espresso da Zoe Quinn, in Crash Override, raccontando su "Goodreads" come il Gamergate le ha (quasi) distrutto la vita e come si possa vincere la lotta contro l'odio online.
"GamerGate non riguardava affatto i videogiochi quanto piuttosto un punto critico per l'odio online radicalizzato, che aveva una lunga lista di obiettivi prima e dopo che il suo nome fosse aggiunto ad esso. Il movimento ha contribuito a consolidare le crescenti connessioni tra movimenti suprematisti bianchi online, nerd misogini, teorici della cospirazione e falsificatori imparziali, che traggono un senso di potere dalla diffusione di disinformazione. Questo mosaico di zii razzisti che rovinano il Ringraziamento potrebbe sembrare uno scherzo di cattivo gusto, ma sono diventati una vera forza nel dare a Donald Trump le chiavi della Casa Bianca".
Un caso di disinformazione e odio mai risolto arrivato persino ai giorni nostri con il caso Sweet Baby Inc.
Pochi mesi fa, lo studio di design narrativo Sweet Baby Inc, articolato da un team di 16 persone, ha dovuto fronteggiare una battaglia che lo accusava di promuovere segretamente ideologie “Woke” nei videogiochi moderni. Nello specifico Il termine Woke è traducibile con l’atto di "stare allerta” e “svegli” contro le ingiustizie sociali e razziali. Tale attacco avrebbe avuto come bersaglio un gruppo con oltre 200.000 follower su Steam e migliaia di membri in un canale Discord. Secondo questo gruppo Sweet Baby Inc costringerebbe gli sviluppatori di giochi a modificare i corpi, le sembianze e quindi anche le etnie e le sessualità dei personaggi in linea con le ideologie Woke.
Il team e il progetto Sweet Baby Inc hanno come unico scopo collaborare con game developer per migliorare lo storytelling e le trame dei videogiochi attraverso il miglioramento dei personaggi più realistici e dunque inclusivi. Nessuno dei componenti dell’organizzazione ha il potere di dettare legge sui temi sotto accusa, malgrado questo, i dipendenti di Sweet Baby Inc hanno subito minacce, doxing e abusi online da parte di una folla carica di rabbia e disinformata. Keza MacDonald nel suo articolo in The Guardian sottolinea che:
"l'agenzia in questione non ha ovviamente fatto nulla del genere". È semplicemente uno studio di sviluppo narrativo, l'equivalente videoludico dei 'medici della sceneggiatura', che lavora con gli sviluppatori per assicurarsi che le loro trame abbiano senso e che i loro personaggi non siano imbarazzantemente fuori contesto".
Warner Bros Games e PlayStation’s Santa Monica Studio sono state esortate all’azione e posizione verso il loro partner Sweet Baby Inc. È di importanza vitale che l’industria videoludica esprima la sua voce comunicando un messaggio chiaro e inequivocabile contro l’odio e la disinformazione, a supporto della diversità che sempre più naturalmente sta emergendo oggi nel mondo interno ai videogiochi. L’industria videoludica è consapevole dell’importanza di garantire al suo pubblico un'ampiezza sempre maggiore di contenuti, una varietà di personaggi in grado di rappresentare e facilitare l’immedesimazione di tutti i gamers e quanto questo sia un approccio indissolubile per la creatività stessa alla base del business.
LGBTQIA+, Donne, minoranze, comunità etniche, nessuno sta imponendo la diversità nei videogiochi: essa è presente naturalmente, mentre sia i giocatori che gli sviluppatori diventano sempre più diversi.
Dieci anni dopo il Gamergate, l'industria dei videogiochi si trova nuovamente davanti a battaglie importanti scaturite dalla disinformazione e dall’odio. Ogni anno gli abusi online prendono di mira innumerevoli persone per ragioni nate dal caso. I gruppi maggiormente colpiti e presi di mira costantemente sono donne, trans, qualsiasi persona della comunità LGBTQI+, gli afroamericani e gli immigrati. È tempo di imparare dagli errori del passato e di affrontare l’omofobia in qualsivoglia forma. Solo in questa maniera il futuro dei videogiochi potrà sopravvivere: non ignorando ma tutelando i suoi giocatori e la creatività dei suoi di sviluppatori.
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