In questo nuovo appuntamento di Academic Arena tratteremo la delicata tematica della disabilità nel mondo degli esport.
Cari lettori,
inizio questo articolo con la speranza che abbiate passato tutti un buon periodo di feste. Nello scorso articolo abbiamo avviato una riflessione critica sull'industria degli esports, focalizzandoci in particolare sul ruolo del corpo (fisico e virtuale) in questo ambito ancora poco esplorato. Abbiamo osservato come il corpo, con le sue esperienze e le sue unicità, influenzi profondamente il modo in cui si pratica e si vive l'Esport, contribuendo a definire un rapporto unico con il videogioco competitivo e la sua organizzazione.
Abbiamo compreso che il corpo non è neutrale nei confronti delle pratiche esports; attraverso una serie di esperienze vissute e portate con sé, che abbiamo definito "incarnate", esso influenza e determina le stesse pratiche. Tuttavia, ciò che rimane ancora da esplorare in questo discorso è cosa accade quando i corpi cambiano o quando le organizzazioni esportive devono relazionarsi con corpi che non si conformano all'immagine che ha guidato la progettazione e l'organizzazione dei videogiochi in un certo modo.
È questo il caso delle persone con disabilità, che ancora oggi faticano a rientrare in un progetto di inclusione nel mondo degli esports. Se da un lato i videogiochi competitivi vengono percepiti come qualcosa di altamente digitalizzato e a basso coinvolgimento corporeo, allora perché le persone con disabilità faticano ad entrare attivamente all’interno dei circuiti esportivi, proprio come accade ancora oggi per molti sport tradizionali? Sulla base di questo interrogativo affrontiamo oggi un lavoro da poco pubblicato e che non me ne vogliano i lettori, gode di un certo livello di autoreferenzialità.
Il contributo accademico che ci accompagnerà oggi, intitolato Exploring the Embodied Experience of Disabilities in First Person Shooter eSports: An Empirical Study è un lavoro di ricerca (lascio a voi questa volta il compito di esprimervi sulla sua eccellenza) pubblicato nel 2024 sulla rivista PuntOorg International Journal in seno al nono volume dedicato al rapporto tra media e disabilità. Il lavoro si propone di interrogare il rapporto tra corpi fisici e virtuali negli esports attraverso uno studio qualitativo volto ad indagare le pratiche di personalizzazione attuate da alcuni atleti professionisti e semi-professionisti. Lo scopo del lavoro è quello di comprendere:
Il primo contributo dell'articolo sottolinea come l'analisi attuale dell’esperienza incarnata e dei corpi non venga affrontata esplicitamente nelle definizioni ampiamente accettate degli esports. Si evidenzia che, nonostante le pratiche di videogiochi come gli sparatutto in prima persona sia strettamente fisica, sembra che le ideologie sottostanti che vengono adoperate per interpretare il fenomeno escludano il "corpo" dagli elementi chiave, relegando il compito di spiegare dove effettivamente “lo sforzo” e “l’abilità” risiedano alle tecnologie o alla mente.
Tuttavia, gli autori sottolineano che il ruolo dei corpi, sia fisici che virtuali, è innegabilmente significativo negli esports e che è proprio a partire da essi che si può indagare l’unicità di ogni atleta, del proprio modo di vivere il videogioco e della scelta delle strumentazioni tecnologiche di cui servisti. Nascondere l'esistenza dei corpi in questo contesto potrebbe potenzialmente alimentare ideologie dis-inclusive basate proprio sulla diversità corporea, impedendo di conseguenza la formazione di progetti volti a sfruttare le potenzialità insite negli esports. Inoltre, viene evidenziato come gli esports stiano attualmente promuovendo un tipo di ideologia abilista dovuto al desiderio di emulare modelli e strutture degli sport tradizionali.
Gli autori chiamano in causa una letteratura propria dei disability studies che illustrano le fondamenta dell'ideologia abilista e sottolinea come gli esports attualmente promuovano questo tipo di ideologia a causa del desiderio/necessità di emulare modelli e strutture degli sport tradizionali ai fini di ricevere un riconoscimento formale. Il fine di questo contributo è promuovere una analisi critica sul cosa si sta lasciando indietro continuando ad intendere e organizzare gli esports come gli sports tradizionali.
Il secondo contributo che emerge dall’articolo si dedica invece ad ampliare la comprensione di come il corpo fisico entri in contatto con il videogioco. Analizzando in profondità questa relazione è possibile rendersi conto che tra questi due corpi esistono diversi livelli di mediazione, che passano per le periferiche di gioco, per l’avatar virtuale e solo in fine il videogioco stesso. Questo secondo contributo sarà oggetto del nostro prossimo articolo, interamente dedicato alle pratiche di personalizzazione.
Per ora limitiamoci a ragionare su come i corpi costituiscano un'importante sede di dibattito sulla natura degli esports e sulle sue implicazioni in termini di costruzione sociale. E continuiamo a ragionare su come il modo di intendere questi corpi in azione scandisca modi di fare business all’interno di questa industria. La questione del lavoro “digitale” che poi non è così tanto digitale non è certamente propria e unica degli esports, ma questi possono offrire una prospettiva interessate sull’importanza della materialità di queste nuove industrie.
I corpi degli atleti ci rimandano proprio a questa tensione tra digitale e analogico, tra digitale e materiale che contraddistingue scelte organizzative, modelli di business e forme di comunicazione che messe insieme ci danno un quadro di cosa sono gli esports nel 2024. Nel prossimo articolo affronteremo con profondità la questione della personalizzazione delle postazioni da gioco degli atleti, cercando di capire perché queste scelte partono da un esperienza dei corpi fisici e come esse veicolino forme di comunicazione con i corpi virtuali e contribuiscano a de-costruire visioni abiliste dello sport in senso ampio.
Ripetta, S., & Silvestri, A. (2024). Exploring the Embodied Experience of Disabilities in eSports: A Study on First Person Shooters. puntOorg International Journal, 9(1), 80-103.
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